«Caro papà non urlare perché mi vergogno»
I genitori insultano gli avversari dagli spalti e distruggono il divertimento dei propri figli: troppi i casi di tifosi che si trasformano in ds
Marco è teso, avverte su di sé tutta la responsabilità di quell’azione che potrebbe cambiare le sorti della sua squadra, da una parte sente la voce del mister che lo incita a non aver paura di sbagliare dall’altra le urla del padre che dagli spalti gli dà indicazioni su come posizionarsi e come tirare. Marco, nome di fantasia sotto il quale si possono identificare tanti ragazzi che praticano sport a livello agonistico, alla fine della partita corre nello spogliatoio e scoppia in un pianto liberatorio, la doccia cancellerà il rossore dagli occhi.
Le grida dagli spalti, gli insulti che a volte sfociano in vera e propria violenza verbale, di qualsiasi attività agonistica, sono un fenomeno in aumento e a nulla valgono i cartelli come quello che si legge su vari ingressi di centri sportivi che invitano gli adulti a contenere il tifo: «Se siete venuti per vedermi giocare» divertitevi anche voi. Non urlate mi mandate in confusione, non insultate l’arbitro e gli avversari sono ragazzi come me. Ricordate che ho il diritto di sbagliare”.
Purtroppo capita sempre più spesso di assistere a siparietti di genitori incattiviti e di ragazzi in campo che si vergognano, perché quando indossano la divisa diventano una squadra e l’unica voce a cui vorrebbero dar ascolto è quella del coach, quindi caro papà cara mamma lasciate che gli atleti disputino la propria gara e incitateli a prescindere dal risultato.
Le cronache raccontano di tifosi che assumono il ruolo di direttori sportivi trasformando il momento di svago e divertimento in un tormento per i figli impegnati in una partita o in una qualsiasi altra competizione.
Probabilmente partono con i migliori propositi volendo incitare e spronare i propri ragazzi ma poi basta il fischio d’inizio perché si trasformino in ultrà. Noi, studenti della Secondaria di primo grado, che da poco abbiamo iniziato a disputare incontri agonistici, rivolgiamo un appello a tutte quelle persone che vanno ad assistere alle gare chiedendo di starsene tranquille e a non proiettare i loro sogni nelle azioni dei propri figli.
I bambini che praticano uno sport lo devono poter fare per passione, per divertimento, non deve essere fonte di ansia e stress altrimenti abbandonano come accade, secondo i dati della Figc Lombardia, al 40% dei 12enni che giocano a calcio.
“Nello sport non esistono nemici, ma solo avversari: li rispetto perché, senza di loro, non c’è gara – come ci insegnano a scuola attraverso il manifesto della Comunicazione Non Ostile – Lo sport è fair play: gioco leale. L’agonismo è confronto positivo, mentre l’insulto è debole, vigliacco, incivile» E sulla scia di queste parole concludiamo dicendo che un atleta quando è su un campo da calcio, in una palestra o in una piscina si diverte perché, parafrasando la celebre frase di Nelson Mandela, «non perde mai, o vince o impara».
Gli alunni hanno chiesto un’opinione a un esperto in materia, Fabio Grassi, psicoterapeuta psicologo dello sport e allenatore Uefa B che ha lavorato per diversi anni per Atalanta, Milan e Monza.
«Negli ultimi 30 anni ho avuto la fortuna di crescere insieme ai ragazzi dei più importanti settori giovanili professionistici italiani e stranieri con esperienze formative indimenticabili soprattutto all’estero dove la cultura, l’educazione e l’avvicinamento allo sport, al calcio nello specifico, è vissuta a misura di bambino. Ho assistito in giro per l’Europa a finali di tornei internazionali, di ragazzini di 8-10 anni, di società professionistiche con genitori a bordo campo, senza recinzioni, che mentre i bambini giocavano consumavano il pranzo seduti sotto gazebi rudimentali autocostruiti oltre il perimetro di gioco».
In Italia? «Negli ultimi anni, in perfetta linea con l’evoluzione, o forse sarebbe meglio dire l’involuzione della nostra società, stiamo assistendo ad un decadimento culturale impressionante. Le partite sono pilotate fuori dal campo dai genitori che urlano a squarciagola al figlio come arbitri senza alcun arbitrio, totalmente senza regole e incitanti alla scaltrezza per fregare l’altro, in alcuni casi sfiorando il rischio di arrivare alle mani per un nonnulla. Ma dove stiamo andando?».