Olena, fuggita dalla sua terra in guerra
Abbiamo immaginato di intervistare una studentessa ucraina, a un anno dall’inizio dell’aggressione russa
Colpiti dalla guerra in Ucraina , dallo scoppio delle bombe, dalla distruzione delle case e dall’esodo della popolazione civile costretta a fuggire e a cercare riparo in altre Nazioni, abbiamo cercato di immaginare la nuova vita di una coetanea che abbiamo chiamato Olena. Ci siamo messi nei suoi panni per capre come vivrebbe in Italia e quali problemi sarebbe costretta ad affrontare.
Ciao Olena, un anno fa circa scoppiava la guerra: cosa hai provato allora? «Tanto sconforto e incredulità.
Fino all’ultimo ho sperato che si trovasse una soluzione pacifica».
Qual è la tua più grande paura? «Di andare a dormire e, al risveglio, scoprire che magari hanno bombardato il mio quartiere, la mia casa, la mia scuola».
Quali difficoltà hai incontrato in Italia? «La lingua è completamente diversa dalla mia. All’inizio non capivo niente, pensavo in continuazione alle mie compagne rimaste in Ucraina o rifugiate in altri paesi. Mi mancavano tantissimo. Poi ho conosciuto i docenti e i compagni italiani, che hanno cercato di insegnarmi almeno le parole indispensabili. Ma alcune materie ho dovuto proprio lasciarle perdere, per il linguaggio troppo difficile. Fra queste ci sono materie che mi piacciono tanto e che in Ucraina studiavo con passione, ottenendo ottimi risultati, come scienze. Solo adesso, a fatica, ho potuto ricominciare a studiare questa disciplina. Gli insegnanti hanno capi-to che non potevano pretendere troppo da me, ma non mi hanno abbandonata a me stessa.
Ho continuato ad avere ottimi voti in Inglese, per esempio».
Cosa ti manca della vita prima della guerra? «La quotidianità. È strano, ma prima mi sembrava che la routine fosse noiosa. La settimana era scandita dai soliti impegni fissi: scuola, mensa, pallavolo, pranzo della domenica dai nonni. Oggi, che tutto è cambiato, mi mancano queste certezze.
Quando pensi al tuo futuro, cosa immagini? «Vorrei diventare un’infermiera pediatrica. Magari trascorrere un periodo all’estero, in Africa, nelle zone di guerra, per aiutare con la mia esperienza i bambini.
Prima non avevo idea di cosa fare nella vita, ero confusa e indecisa come tanti ragazzi della mia età. Ma adesso ho capito sulla mia pelle che la guerra è una cosa orribile e sono cresciuta in fretta» Cosa diresti ai grandi leaders della Terra? «Che l’unica soluzione è il dialogo, non le armi. Il futuro è di noi giovani, russi e ucraini, abbiamo diritto di realizzare i nostri progetti nella pace».
Un’ultima domanda. Chi vuoi ringraziare? «La mia famiglia che ha sempre cercato di regalarci momenti di serenità nonostante tutto questo e tutti i volontari che ci hanno manifestato sostegno in vario modo. Per esempio organizzando corsi rivolti a insegnanti italiani sulla nostra cultura, per aiutarli a conoscerci meglio».
Mentre si parla di vittime e di colpevoli, di filo-ucraini e di filorussi, di confini e di armamenti, in Ucraina i bambini scampati al massacro devono crescere portandosi dentro i segni di ciò che è stato distrutto intorno a loro.
Case, sogni, speranze e vita sono stati spazzati via in un momento dalla follia inutile della guerra. Da entrambi i fronti famiglie sono state spezzate: uomini e donne hanno perso la vita senza abbracciare per l’ultima volta i propri cari.
Per riscoprire in sé la voglia di vivere e di crescere, da sempre i bambini hanno bisogno di affetto, di sicurezza e di appoggio. Oggi nelle zone di guerra tutto questo sembra un’utopia.
Ogni bambino del mondo, a prescindere dalla sua nazionalità, dovrebbe poter ridere, giocare, disegnare, imparare, sbagliare e anche fare i capricci. Tutto ciò è realizzabile soltanto con un impegno comune per riportare la pace.
Con le bombe, con i morti per strada non si cambiano le cose, si distruggono. Con questo odio si rovina ogni idea di cambiamento e di dialogo. Il mondo si può migliorare con le idee e con lo sforzo di tutti.
Creiamo un movimento apolitico affinché ogni bambino sia in grado adesso, subito, di tornare a fare cose da bambino e soprattutto di sognare cose da fare da grande.