ll progetto de Il Giorno per i lettori di domani

Scuola Secondaria di I grado Pirandello di Solaro (MI) - 3B

Vito Fiorino, un Giusto fa tappa a Solaro

L’uomo che ha abbattuto il muro dell’indifferenza e ha detto «Io ci sono» rischiando la vita per salvare i migranti dal naufragio

Nel marzo scorso le classi terze della scuola media «Luigi Pirandello» sono state ospitate nei locali del Maps (Movimento Associativo Pensionati Solaresi) per una conferenza dal titolo «Parliamo di legalità con Vito Fiorino, soccorritore di 47 profughi in mare a Lampedusa».

All’evento, che rientra in un progetto della biblioteca scolastica, finanziato dal Comune di Solaro, hanno partecipato anche il sindaco Nilde Moretti e l’assessore all’istruzione Monica Beretta.

Fin da giovane, Vito Fiorino capisce il disagio dei migranti, perché anche lui lo è stato, essendo emigrato da Bari verso Sesto San Giovanni. Nel 2000 decide di trasferirsi a Lampedusa, dove compra un’imbarcazione che chiama Gamar, dal nome dei suoi nipoti. Qui si crea un gruppo di amici, gli «Otto della Gamar». È proprio con loro che si  imbatte nella catastrofe del 3 ottobre del 2013: un gruppo numeroso di immigrati eritrei che stavano affogando nella baia della Tabaccara vicino a Lampedusa, a causa dello scoppio del motore dell’imbarcazione che li trasportava. «Inizialmente pensavamo fosse un vuciare di gabbiani, ma poi scoprimmo che erano le urla di uomini», racconta Fiorino. Più di 500 migranti dispersi in mare da più di tre ore che chiedevano aiuto. «Ho provato paura, ma poi ho reagito. Il coraggio esce da solo», risponde agli studenti che gli domandano cosa avesse provato in quel momento. Pensa di salvarne quattro o cinque, ma arriva a salvarne quarantasette, tra cui una donna. Con altri soccorritori, vengono poi salvate 155 persone su 523; le restanti 368 sono disseminate nei cimiteri di Lampedusa avendo come nome un numero.

È per questo che, dopo essere riuscito a dare un nome a quasi tutte le persone morte in mare, nel 2019 Vito Fiorino decide di inaugurare un memoriale, proprio il 3 ottobre, alle 3:30 del mattino, il sesto anniversario della strage, affinché possano avere un’identità ed essere ricordate.

Nel 2018 l’associazione Gariwo lo riconosce Giusto fra le nazioni. «Un Giusto è una persona che, salvandone un’altra, salva tutto il mondo», sostiene Fiorino. «Ne sono onorato, ma non mi sento un eroe». I suoi rapporti con il mare sono cambiati perché non riesce a dimenticare l’angoscia provata in quei terribili momenti, ma non sono cambiati i rapporti con amici e familiari, a cui si sono aggiunti tutti i migranti salvati che ora considera figli suoi. Poco tempo fa a Cutro si è ripetuta la stessa tragedia e gli studenti ne chiedono un commento a Vito Fiorino.

«Manca la volontà di creare corridoi umanitari» sentenzia, e poi: «Quello che queste persone lasciano nel loro Paese è evidentemente più terribile di un viaggio in mare». Alla fine dell’incontro è lui a porre un domanda agli studenti: «Chi avrebbe voluto essere con me quel giorno?» Alcuni ragazzi si alzano in piedi e lui li abbraccia emozionato. È importante e necessario combattere l’indifferenza.

 

Cosa ha provato quando ha saputo di essere stato dichiarato Giusto? «Mi fa molto onore ma non mi sento un eroe».

Dopo questa tragedia sono cambiati i suoi rapporti con amici e famigliari? «No, la mia più grande gioia è quando in una scuola un ragazzo si è avvicinato a me e mi ha confidato: “Io la penso come lei, non come la pensa mio padre».

Il coraggio quella mattina dove l’avete trovato? «Ho provato un attimo di paura e poi ho agito. (un’altra barca ha salvato 18 persone, un’altra ancora 12). Il coraggio esce da solo».

Sono passati dieci anni da quella tragedia e a Cutro in questi giorni si è ripetuta la stessa tragedia. Cosa ne pensa? «Manca la volontà di creare dei corridoi umanitari. La storia si è ripetuta anche subito dopo il naufragio del 3 ottobre 2013.

L’11 ottobre 2013, infatti, 360 siriani partirono con un barcone dalla Libia, ma vennero avvistati da una motovedetta che sparò sul barcone, provocando dei buchi nello scafo. I migranti chiesero aiuto a Malta, la quale rispose che la questione non era di loro competenza. Alla fine il barcone affondò con 260 morti, di cui 60 bambini. Al processo la Marina Militare venne dichiarata colpevole e, nel secondo grado di giudizio, vennero assolti tutti perché erano scaduti i termini». 

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