ll progetto de Il Giorno per i lettori di domani

IC Claudio Abbado di Vimodrone (MI) - 3B

Fast fashion, un mondo che non conosciamo

Vi siete mai chiesti da dove vengono i vestiti che avete addosso? O il motivo per cui costano così poco? Sapete cosa sono le 5 R?

Il fast fashion, ovvero «moda veloce», è associato al concetto di «usa e getta», quindi i capi di abbigliamento sono utilizzati per una stagione e poi buttati via anche se sono in buone condizioni.

Anche se questa strategia non è malvagia, ha molte problematiche, due in particolare, molto gravi: l’inquinamento ambientale causato dall’industria tessile che la classifica la seconda più inquinante al mondo e la prima per il consumo energetico e per le risorse naturali.

Inoltre da non dimenticare c’è l’aspetto sociale che vede dietro al fast fashion molti fattori illegali, come lo sfruttamento minorile, la schiavitù, il lavoro senza sicurezza, i lavoratori sottopagati, per citarne alcuni.

Ma dove e quando nasce il fast fashion? Questo termine venne usato per la prima volta a New York nel 1989 in una delle pagine del famosissimo quotidiano New York Times; Quando Zara aprì il suo primo store diffuse un nuovo modo di fare business: si vantava di metterci quindici giorni per creare una collezione e poco dopo sostituirla con una nuova. E una mole incredibile di abiti, finivano al macero Strategie psico-sociali Il fast fashion utilizza delle strategie psico-sociali per aumentare il desiderio di ciò che non si possiede Come ci riesce? Attraverso strategie di neuromarketing, cioè tecniche di vendita che sfruttano la reazione del cervello ad alcuni stimoli.

Condizioni di possibilità Il fast fashion sposta la produzione nei Paesi in via di sviluppo, dove il costo della manodopera è fino a dieci volte più basso rispetto ai Paesi occidentali. In aree geografiche come il Bangladesh, la Cambogia, l’India, l’Indonesia, lo Sri Lanka o l’Etiopia. milioni di operai, perlopiù donne e bambini, vengono costretti a lavorare per 2 o 3 euro al giorno, senza tutela, in pessime condizioni di igiene e sicurezza. Così, ovviamente la produzione di capi è più veloce ed economica.

Impatto ambientale Il fast fashion ha un costo ambientale perché, spesso, l’acqua e la terra dei Paesi incaricati della produzione tessile sono contaminate dagli agenti chimici usati dalle industrie. A causa della loro tossicità, una grossa percentuale di adulti e bambini sviluppa gravi patologie Le 5 R Nel 1997 per la prima volta in Italia si sostenne il tema della gestione sostenibile dei rifiuti, con la legge passata come “La regola delle 5 R”, regole per comprendere l’importanza del vivere con zero sprechi: reduce (riduci gli acquisti), reuse (riutilizza), repair (ripara), rot (differenziazione dei rifiuti) e recycle (riciclo).

 

La Sartoria Sociale è nata a Palermo. Il locale nasce negli anni ‘80, gestito dal mafioso Antonino Buscemi. Nel 1998, però, l’edificio venne confiscato e rimase chiuso per oltre 15 anni, fino a quando, il 14 novembre 2017, il Comune lo consegna alla sartoria sociale che conosciamo oggi.

In cosa consiste? Sartoria Sociale promuove il riciclo tessile e l’economia circolare nel settore moda; quindi, dà una seconda vita ai capi danneggiati, così da non buttarli.

È un social shop e un laboratorio creativo in cui lavorano insieme professionisti del cucito, educatori, operatori sociali e persone in difficoltà come donne straniere o vittime di violenza, giovani migranti o individui con disabilità. Un’impresa sociale multidimensionale, che favorisce l’inclusione socio-lavorativa e socio-relazionale di persone svantaggiate.

Il messaggio che si vuole dare è quello di una nuova occasione di vita per il capo e per la persona: gli scarti tessili diventano risorse e gli incontri si trasformano in relazioni.

Esiste un processo produttivo che inizia con 1 ricezione del capo; prosegue con il controllo delle condizioni e igienizzazione; continua con la selezione di capi da riutilizzare e da dare in beneficenza, e si conclude con la creazione di nuovi oggetti e la loro vendita sul mercato. 

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