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IC Como Nord di Como (CO) - 2AM

Sette scuole in chiusura, i rioni si spopolano

Le periferie comasche rischiano di svuotarsi e diventare centri commerciali a cielo aperto o dormitori per lavoratori frontalieri

Da settembre 2024 a Como e provincia si parla della possibile chiusura di un consistente numero di scuole.

Il sindaco Alessandro Rapinese e la sua giunta avrebbero deciso di mettere i lucchetti ai cancelli di ben sette istituti entro l’anno scolastico 2026-27: scuola dell’infanzia a Ponte Chiasso, asili di Prestino, via Volta, via Varesina e salita Cappuccini e le due primarie di via Perti e via Brogeda a Ponte Chiasso.

Pare che la decisione sia stata presa per una serie di circostanze diverse; prima di tutto si dice che il numero di studenti sia in calo e molte scuole non raggiungerebbero il numero di iscritti sufficiente per formare le classi e a rimanere aperte, inoltre ci sono tanti edifici scolastici che versano in pessime condizioni da un punto di vista strutturale e che hanno dunque bisogno di manutenzione, o, nei casi più gravi, di rifacimento. Ma, a detta dell’Amministrazione comunale, risulterebbe una spesa eccessivamente gravosa quella di mettere tutti gli edifici in questione in condizioni di poter continuare ad ospitare plessi scolastici, mentre risulterebbe più saggio, sempre a detta degli stessi, riservare le risorse economiche esistenti agli istituti meno compromessi.

Gran parte dei cittadini non è d’accordo con il provvedimento scelto dal primo cittadino e in questi mesi diverse sono state le manifestazioni di dissenso di chi sostiene che le chiusure potrebbero creare più problemi alla società anziché soluzioni.

Per questo molti insegnanti, alunni, genitori, associazioni sono scesi in piazza per gridare il loro «NO» al cosiddetto piano di razionalizzazione, che, a conti fatti, suscita un gran dissenso nella cittadinanza. Soprattutto i cittadini più giovani e tanti studenti che vivono in zone periferiche pensano che questo provvedimento potrebbe appesantire ancora di più la situazione di precarietà che vivono alcuni quartieri del territorio, per esempio quelli di Rebbio, Prestino, Ponte Chiasso.

Quello di Ponte Chiasso è l’ultimo quartiere di Como, a confine con la Svizzera, dove i punti di riferimento per i circa 4000 abitanti rimangono la scuola e pochi enti che garantiscono assistenza al cittadino, per il resto tanti esercizi commerciali, ristoranti, centri estetici.

Qui si trova anche la Casa della Giovane, associazione che opera sul territorio offrendo assistenza e aiuto alle donne sole o con bambini, o comunque in una condizione di difficoltà. Ci siamo chiesti come un progetto di chiusure potrebbe impattare sul futuro di queste categorie, su quello dei più giovani, ma anche sul lavoro delle altre realtà educative.

Quindi, a nostro avviso, considerato che il progetto dell’Amministrazione comunale suscita così tante perplessità, prima di essere attuato dovrebbe essere esaminato a fondo per verificare se per caso esistono altre strade percorribili che non siano i lucchetti ai cancelli.

 

Qual è il ruolo della “Casa della Giovane” nel quartiere di Ponte Chiasso? «Ponte Chiasso è un piccolo quartiere dove tutti gli abitanti conoscono la casa della Giovane che oltre ad essere un riferimento per le donne è anche un riferimento per gli anziani e per tutti i cittadini che chiedono il nostro aiuto; infatti, ogni martedì, organizziamo degli incontri con loro, svolgiamo attività teatrali con i bambini, pomeriggi con giochi da tavolo. Siamo qui dal 1957, anno di fondazione della prima casa “Irma Meda”, e siamo un riferimento per tutti.

Qual è il rapporto tra la casa della Giovane e l’Istituto Como Nord? «L’Istituto Como Nord e la casa della Giovane potrebbero creare collaborazioni mirate a mantenere in vita questa periferia, con tante attività da svolgere con adulti e bambini, con tutte le categorie che popolano un quartiere, con tutti i servizi possibili e tutte le attività ed eventi atti a rendere le loro giornate soddisfacenti».

Cosa ne pensa della chiusura delle scuole? «Penso che non sia mai un bene: se viene a mancare anche solo un istituto diventa un problema scolastico, ma anche di abbandono di edifici, e soprattutto verrebbe meno un pilastro della società, con il conseguente rischio di svuotamento delle aree». 

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