La Bolivia è a un passo dal cuore di Bergamo
Don Luca Martinelli, protagonista di un viaggio dalle Orobie alle Ande, racconta il suo impegno missionario e come è cambiata la sua vita

Munaypata è una piccola realtà della Bolivia, stretta tra le città El Alto e La Paz, a quasi 4.000 metri d’altitudine, sulla catena montuosa delle Ande, in un territorio in cui la povertà è sempre stata padrona, all’interno di uno Stato tra i più fragili che si conoscono nell’America meridionale. Tutto in salita, verrebbe da dire, come uno di quei taxi che, a volte, neppure riesce ad inerpicarsi lungo le stradine di ritorno verso la parrocchia, costringendo a scendere e armarsi di pazienza, salendo a piedi.
Già, la parrocchia di Munaypata: esattamente là dove – metaforicamente – il filo del cuore unisce Bergamo e la Bolivia, distanti geograficamente un oceano, l’Atlantico, ma più che mai vicini nei pensieri di don Luca Martinelli, decisamente molto più degli oltre diecimila chilometri che separano le due realtà. Di Bergamo, don Luca mantiene decisa l’anima da combattente, quella che non si arrende mai, mentre in Bolivia la distanza – da casa, dagli amici, dal passato – è stata ben presto convertita in calore ed affetto delle persone che frequentano la comunità boliviana. Quella parola, straniero, – o sentirsi tale – non vale più nella vita di tutti i giorni. La missione diocesana – di stampo italiano, ma a tutti gli effetti dall’anima orobica – è attiva nella realtà boliviana di Munaypata da ben oltre 60 anni, esattamente dal 1962, e ha rappresentato da subito un concreto aiuto e sostegno alla popolazione locale. Don Luca Martinelli, classe 1984, originario di Romano di Lombardia, ordinato nel maggio del 2009, a partire dal 2023, dalla parrocchia di Borgo Santa Caterina, è stato inviato dal Vescovo di Bergamo come fidei donum, sacerdote a cui viene richiesto un servizio temporaneo in una diocesi all’estero, in Bolivia, a Munaypata. La ‘Parroquia Apostol Santiago’ è espressione di una zona periferica della città di La Paz, ancora oggi, seppur in crescita, priva di alcuni servizi e soprattutto con tante famiglie in situazione di povertà, nell’ambito di una vita che si consuma in gran parte nelle ore diurne.
Ed è proprio ai più piccoli che, la missione bergamasca, si rivolge con forza mediante l’istituto scolastico Marien Garten – il quale prende il nome da una suora missionaria che per prima ebbe l’intuizione di improvvisare una prima classe – che accoglie quasi duemila ragazzi, con età da primaria a secondaria. L’obiettivo è promuovere l’educazione e migliorare, di riflesso, la vita futura a tanti ragazzi che, a differenza dell’Italia, sono costretti a dividersi tra i banchi di scuola ed un lavoro, per portare a casa qualche ‘soldino’ fondamentale per vivere. E che di fatto ragazzi non sono, ma già degli adulti.
Così l’obiettivo della missione diocesana non può che essere uno: restituire la normalità, carta e penna in mano, il tempo per il gioco, il tempo per il divertimento. Presenza, costanza e solidarietà: perché il cuore dei bergamaschi sa essere grande quanto la Bolivia.
Perché ha scelto la Bolivia come destinazione della missione? «Beh, non ho scelto io. È stato il vescovo di Bergamo a decidere. Ho sempre desiderato intraprendere un viaggio importante per la mia vita. Ma io, noi, i missionari, rimaniamo sempre ospiti, è importante sedersi di persona, a tu per tu, per capire meglio la cultura con cui ti stai confrontando». Ed ora come sono i rapporti? «A Munaypata siamo molto amati e rispettati. Capita, e non di rado, che mentre sto visitando il mercato venga salutato da persone della comunità di cui, al contrario, non possa dire di conoscere bene. Questo la dice lunga sul come siamo stati accolti calorosamente, è tipico anche dei paesi sudamericani».
Potrebbe descrivere la vita di un bambino boliviano? «Alcuni ragazzi hanno famiglie importanti alle spalle, altri, invece, sono già orfani o hanno un unico genitore che lavora. Nonostante la giovane età, fanno già in tutto e per tutto una vita da adulti, si svegliano alle quattro del mattino, lavorano, e poi dopo mezzogiorno si recano al collegio. Gli stipendi di molti genitori sono bassi, 2000 boliviani corrispondono a poco più di 200 euro».
Quanto tempo rimarrà in Bolivia? «Il primo contratto diceva che sarei dovuto restare per tre anni, ma lo rinnoverò per altri due: quindi, rimarrò cinque anni».