Lavorare in città nel secondo dopoguerra
Nei racconti dei nonni le sfide e i grandi sacrifici sostenuti. Un viaggio attraverso la storia locale e la cultura del fare
Moltissime sono le fonti che vengono utilizzate per ricostruire eventi storici: fra queste, le più interessanti sono rappresentate dai racconti di chi la storia l’ha vissuta in prima persona.
I ragazzi della 3^D, della scuola secondaria di primo grado «Biagio Bellotti», hanno fatto un viaggio emozionante attraverso la storia locale, la cultura del lavoro, e i cambiamenti economici della città di Busto Arsizio intervistando i loro nonni, nati nel secondo dopoguerra.
I nonni hanno avuto il piacere di raccontarsi e questa è stata un’occasione per mettersi a confronto con una realtà, quella dei giorni nostri, che si è trasformata completamente. L’attenzione è stata posta sulle occasioni di lavoro negli anni ‘50 e ‘60, sulle sfide affrontate e sugli aspetti culturali e sociali legati sempre alla realtà lavorativa. I nonni si sono soffermati sui cambiamenti evidenti che ci so-no stati nel corso dei decenni a Busto: i centri cotonieri, tessili e le industrie metalmeccaniche hanno lasciato il posto ad industrie per la lavorazione della plastica, ad imprese edili e al settore commerciale.
Ma nel passato come si lavorava? Quali erano le professioni dominanti? Nonno Marco, nato nel 1936, ha iniziato la sua esperienza lavorativa come operaio, a dieci anni, in uno scatolificio. Il suo obiettivo però era quello di fare il meccanico di auto, quello che ai tempi si chiamava “garagista”.
Anche nonno Antonio, nato nel 1943, ha cominciato a lavorare da adolescente. Tra i tredici e i sedici anni, la mattina, frequentava la scuola industriale, e passava il pomeriggio lavorando nello stabilimento tessile dello zio. Dopo il diploma industriale, ha trovato lavoro presso un’industria metalmeccanica molto prestigiosa, la “Fonderia Tovaglieri” dove faceva il montatore meccanico. Piera e Agnese, nate rispettivamente nel 1936 e nel 1946, hanno iniziato a lavorare a quattordici anni nel settore tessile come operaie fino al momento in cui si sono sposate e hanno avuto figli, come era d’uso allora.
Nonna Maria Elisa, del 1952, racconta che trovare lavoro in quegli anni era davvero facile: lei si è presentata direttamente in un’azienda metalmeccanica, dove le hanno fatto un rapido colloquio a seguito del quale è stata subito assunta.
All’epoca si iniziava a lavorare molto presto: non c’era tempo per stare con le mani in mano in quanto serviva denaro per aiutare la famiglia. In generale i nonni raccontano che le giornate lavorative erano lunghe e dure e che, dopo il lavoro, non c’era molto tempo per socializzare. Finita la giornata, si tornava a casa stanchi morti per aiutare la famiglia o semplicemente per riposarsi in vista del giorno successivo. Qualcuno invece, incontrava i colleghi al bar per parlare di politica e di sport.
Un consiglio ai giovani? Studiate per ottenere un lavoro che vi gratifichi e vi dia delle soddisfazioni.
Un rimpianto? Non aver potuto studiare abbastanza.
Nei decenni successivi alla guerra, era comune iniziare a lavorare molto presto a dispetto della formazione scolastica. Un alunno di 3^D della scuola secondaria di primo grado «Bellotti», racconta che «già all’età di 8- 9 anni, la nonna aiutava le suore all’asilo e il nonno andava da un barbiere. Questi però non erano veri lavori ma piccole mansioni che servivano a introdurre i bambini alla vita lavorativa».
C’è chi ha lavorato alla Malpensa: nonno Ezio (84 anni), dopo varie esperienze, è stato assunto come impiegato all’aeroporto. «Prendeva le consegne per i voli in arrivo, si recava sul piazzale e aspettava il volo. Doveva accertarsi che merci e bagagli fossero caricati secondo un piano di carico e verificare il numero di passeggeri che doveva coincidere con le prenotazioni».
C’è invece chi si è trasferito da altre regioni. Nonno Gesuino, partito dalla Sardegna, ha fatto tappa a Cecina per aiutare il fratello come stalliere, poi è stato guardia carceraria a San Vittore fino alla metà degli anni ’70. Infine si è trasferito a Genova dove ha lavorato come muratore. I nonni di J. sono siciliani. La nonna ha iniziato a lavorare a dieci anni: dapprima andava con la famiglia a raccogliere i gelsomini, poi ha lavorato in sartoria. A Busto ha lavorato in una ditta di intimo che ha lasciato alla nascita delle figlie.