Lo psicologo: «Ognuno di noi è unico e diverso»
Ettore De Angeli ha parlato alla Tridentina di inclusione e adolescenza: «Bisogna imparare a essere se stessi nel gruppo»
«La prima cosa che ciascuno di noi può fare per essere inclusivo è non pensare di dover includere gli altri, ognuno di noi è unico e diverso».
Questo è uno dei messaggi lanciati da Ettore De Angeli, psicologo e psicoterapeuta dell’età evolutiva, durante l’incontro con gli studenti e le studentesse della scuola secondaria di secondo grado «Tridentina».
Il tema dell’appuntamento era l’inclusione, argomento centrale di un’intera settimana di conferenze, laboratori e spettacoli che hanno coinvolto l’intero istituto. Un’occasione per riflettere su un tema complesso che riguarda ogni persona, perché accogliere le differenze, nel quotidiano, è un compito fondamentale, anche se è più difficile di quanto si pensi.
Ma cos’è esattamente l’inclusione? Secondo De Angeli, che abbiamo intervistato a margine del partecipato incontro organizzato lo scorso febbraio al Teatro Colonna, «è pensare di essere se stessi, con le proprie caratteristiche fisiche, intellettuali ed emotive, e al tempo stesso stare insieme alle altre persone del gruppo», senza autoescludersi o escludere gli altri. Non esistono caratteristiche migliori o peggiori, ciascuno ha le proprie e vanno rispettate. Rispettare sé stessi e rispettare gli altri sono due aspetti che vanno di pari passo.
Di questi temi si parla soprattutto a scuola, ma andrebbero affrontati anche fuori, perché non c’è un’età per essere inclusivi: «Il punto non è parlarne, ma vivere l’inclusione perché riguarda tutti, dai bambini di tre anni agli anziani». Accogliere gli altri è un compito a cui ciascuno di noi è chiamato: «Quando una persona è esclusa, si sente molto sola, triste e arrabbiata. Si sente anche sbagliata. Se vediamo ad esempio un ragazzo che è arrabbiato dobbiamo prima chiederci se per caso si senta solo». Solitudine e isolamento possono generare spirali negative, è importante non ignorare le persone che vediamo in difficoltà. Ma ci sono delle cautele da utilizzare: «La cosa più sbagliata per aiutarlo è chiedergli perché è arrabbiato, è una domanda troppo diretta. Bisogna coinvolgerlo in modo più indiretto, facendogli capire che può dirci come si sente e che può sfogarsi».
Le parole di De Angeli risultano particolarmente importanti per chi frequenta la scuola secondaria di primo grado, un’età in cui ci si affaccia all’adolescenza, un periodo sicuramente difficile perché si affrontano tanti cambiamenti, sbalzi emotivi e paure: «Adolescenza e inclusione sono collegate, perché quando un ragazzo o una ragazza cresce, inizia a pensare con la propria testa. Gli adolescenti iniziano a chiedersi chi sono, chi vogliono diventare, ed è importante che si sentano accolti».
Questo riguarda gli adulti, ma anche i coetanei, perché siamo tutti uguali proprio perché siamo tutti diversi.
Abbiamo incontrato Daniele Della Piccola un ragazzo con dislessia che ci ha raccontato la sua esperienza scolastica, le difficoltà incontrate e come le ha superate. Oggi è un bravo musicista e suona il corno.
Che metodi utilizzavi per studiare alla scuola media? «Per studiare utilizzavo schemi e parole chiave che mi aiutavano a memorizzare i concetti più importanti». Come hai fatto a imparare a leggere le note, essendo dislessico? «All’ inizio leggere le note musicali era molto complicato per me, mi perdevo tra le righe, quindi per fare in modo che non succedesse evidenziavo le note con colori diversi».
Che consigli puoi dare ai ragazzi dislessici per studiare meglio? «Trovare un proprio metodo di studio, farsi aiutare da un compagno o professore, studiare le cose volta per volta».
A che età hai scoperto di essere dislessico? «L’ho scoperto in terza media a fine ciclo scolastico, quando ormai avevo già finito il mio percorso alla scuola dell’obbligo».
Sei sempre stato sicuro del tuo indirizzo musicale? «Si, non avevo altri interessi».
Ci sono altre persone che suonano uno strumento nella tua famiglia ? «No, ma i miei genitori cantavano nel coro».