ll progetto de Il Giorno per i lettori di domani

Scuola Secondaria di I grado Fermi di Cazzago Brianza (LC) - 2A

Uno, centomila o (invece) nessuno?

Riflessioni e considerazioni sulla nostra immagine negli anni in cui dominano incontrastati i social network

Sui social network la nostra immagine non è totalmente vera: le persone tendono a giudicarci in base al modo di vestire oppure guardando solo il nostro volto e il nostro fisico. Così cerchiamo di modificare la nostra immagine per apparire perfetti agli occhi dei follower. Secondo alcuni sondaggi, circa il 90% dei giovani usa i filtri per modificare le proprie foto. Tutti gli influencer hanno ammesso di usare software prima di pubblicare contenuti .

Ma che cos’è l’immagine? L’immagine è come noi ci presentiamo. Se ci guardiamo allo specchio pensiamo di essere imperfetti perché su Instagram e TiK Tok le modelle e i modelli sembrano perfetti, ma ogni immagine è stata ritoccata più e più volte con i filtri. Cosa sono i filtri? I filtri digitali nascono da un’app , nata nel settembre del 2011, che inizialmente veniva usata per divertimento. I professionisti invece usano app più sofisticate.

Continuando a modificare le proprie immagini si possono creare dei disturbi come la «Body Dysmorphia», della quale ci ha parlato la professoressa Alessandra Magni. Consiste nel non accettare la nostra immagine senza prima averla ritoccata. Si costruisce una cosiddetta «immagine sociale», così però non sei più te stesso. Si crea l’effetto Pigmalione: cioè diventi quello che gli altri vogliono che tu sia. Filtro dopo filtro, ci ostiniamo a non riconoscere il nostro «Io» e da qui parte la frase «Uno, centomila, nessuno» cioè il titolo di uno studio che ci ha presentato l’educatore Alessandro Riva, con evidenti echi pirandelliani: Uno è la persona vera che di solito non si mostra sui social; centomila vuol dire uniformarsi a uno stereotipo, in questo modo però diventiamo nessuno. Ulisse voleva fuggire dal Ciclope Polifemo e ha adottato la strategia di non rivelare il suo nome: lui è stato astuto, ma in quel momento non era più Ulisse, era diventato Nessuno.

La verità è che nessuno è perfetto e al tempo stesso ognuno di noi lo è. Ognuno è perfetto se si esprime per com’è davvero: buttare giù la maschera e fare il grande passo per sentirsi belli è importante, perché alla fine, siamo così e ci dobbiamo accettare per quello che siamo.

Quando ti guardi allo specchio, sorridi, perché sei tu la persona con cui dovrai passare tutta la tua vita.

L’idea che la bellezza risieda nell’autenticità e non nelle aspettative esterne è profondamente radicata nella consapevolezza di sé. In un’epoca dominata dai social media, la pressione per conformarsi a standard di bellezza irrealistici è onnipresente, ma è essenziale riconoscere che la vera bellezza trascende le superficialità promosse online. Ognuno di noi possiede caratteristiche uniche che ci rendono speciali; è il nostro insieme di imperfezioni che ci definisce e ci distingue.

La bellezza non dovrebbe mai essere una taglia unica per tutti.

Al contrario, dovrebbe essere una celebrazione delle differenze, un riconoscimento che ognuno è bello per quello che è.

 

Salvatore Paglia, il nostro collaboratore scolastico, è entrato in classe con un abito molto particolare: scarpe gialle, un vestito a quadretti grigio, un basco in testa e una maglietta rossa. Salvatore in passato ha lavorato per alcune testate giornalistiche: «Il Corriere della Sera», «Il Giorno», «Vogue» e «Vanity Fair», occupandosi in particolare di articoli sulla moda: «Ragazzi, non importa come vi vestite, ma come siete e, prima di piacere agli altri, dovete piacere a voi stessi».

Ha proiettato foto di attori e attrici con e senza filtro, come George Clooney e Angelina Jolie. «In tutte le riviste di moda si usano filtri. Le foto vengono ritoccate perché rappresentano di più i canoni di bellezza della nostra società» Quando gli abbiamo chiesto perché ha cambiato mestiere, Salvatore ci ha raccontato una storia veramente molto toccante, tanto che si è commosso. Un giorno suo padre si è gravemente ammalato e lui ha dovuto decidere se continuare la sua carriera da giornalista o assisterlo.

Ha scelto di aiutare il padre, giorno e notte. Per diversi anni gli è stato accanto, fino a quando «lui è andato in cielo». Così ha deciso di fare il bidello, perché durante le pulizie ha il tempo di pensare e rielaborare il lutto. Soprattutto perché rispetto al mondo della moda e delle immagini, questo lavoro è vero, reale e senza filtri.

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