ll progetto de Il Giorno per i lettori di domani

IC Enrico Fermi di Romano di Lombardia (BG) - 2A, 2E

Longo-Patì, musica e storia in un soprannome

Dall’emigrazione al mondo della lirica sino al successo e alla costruzione del primo teatro d’opera a Romano di Lombardia

C’è una vecchia foto che lo ritrae a sinistra in piedi davanti ad un vagone ferroviario; in alto al centro, tra due dame, Adelina Patti, la soprano più famosa dell’epoca; attorno a loro altre figure, la servitù. E c’è l’anagrafe parallela del paese, quella non ufficiale che conserva e tramanda i fatti attraverso i soprannomi. È la storia di un giovane che nella seconda metà dell’Ottocento lasciò Romano di Lombardia in cerca di fortuna e, quando vi fece ritorno, vi costruì un teatro lirico.

«Giacomo Longo (1863/1930) era figlio di commercianti ed artigiani che lavoravano il ferro e producevano lampade ed altri utensili” raccontano le pronipoti Giovanna e Vittoria Longo “all’epoca erano una famiglia benestante che si poteva permettere di istruire i figli. I racconti di famiglia non dicono perché lasciò Romano, forse su invito di uno zio che era già in Francia e che gli aveva trovato un lavoro. Il suo primo impiego fu in un hotel di Parigi e, dopo poco, vista la sua predisposizione per le lingue, divenne portiere ed accoglieva la ricca clientela. Tra questi, un giorno, giunse anche Adelina Patti, all’epoca una vera star della musica lirica. Alla cantante piacque e lo volle al suo servizio come segretario personale e maggiordomo; da lui dipendevano l’agenda degli incontri della signora Patti e l’organizzazione dei suoi spostamenti e della servitù. Con lei girò il mondo, New York, Londra,… e restò al suo servizio anche quando la cantante si ritirò dalle scene agli inizi del Novecento”. Che cosa fece, a questo punto della sua vita, per la nostra città? “Rientrato benestante in famiglia, Giacomo prima comprò una casa in centro al paese per vivere con le sue amate sorelle, poi fece costruire il primo teatro lirico di Romano, proprio accanto al Comune”.

Questo teatro oggi non c’è più, è stato demolito dopo essere diventato la sala cinematografica parrocchiale. “Alla morte della madre, lui, unico figlio maschio, si dovette prendere cura delle sorelle e sistemare gli affari della famiglia.

Dopo poco, morì anche Adelina Patti e lui tornò a Londra per questioni di eredità, facendo poi definitivamente ritorno a casa. Giacomo, prima di morire, aveva fatto costruire anche la tomba di famiglia dove è oggi sepolto con tutti i suoi cari”.

Quali sono i ricordi di famiglia di questo zio? “In famiglia si ricordano alcuni aneddoti, Giacomo era affezionatissimo ai suoi nipoti e quando stavano male si offriva sempre di accompagnarli all’Ospedale Maggiore di Bergamo. Quando doveva ritirare la “pensione”, Giacomo si faceva accompagnare a Bergamo da Teodoro, il suo nipotino preferito, e lì si fermavano sempre al “Cappello d’Oro” per mangiare le patatine fritte e le alette di pollo”. Ecco, la fine della storia: a Romano, la famiglia è conosciuta come i “Longo Patì” in ricordo di Giacomo e di Adelina Patti, la più importante cantante lirica del XIX° secolo.

 

«Enchantée vous recevoir mardi à 2 heures et demi. Patti-Cedeström” Con questo telegramma la Patti mi faceva l’onore di fissare un colloquio precedentemente sollecitat». Apriva così Luigi Barzini, uno dei più grandi giornalisti italiani e futuro direttore del Corriere della Sera, l’intervista che la celebre soprano Adelina Patti, di passaggio a Roma in viaggio di nozze, gli concesse ed apparsa sul quotidiano “il Fanfulla” del 17 febbraio 1899.

Da quel testo traiamo la descrizione della cantante fatta da Barzini: «Dopo pochi minuti d’aspettativa una porta si è aperta nel fondo ed una signora bionda, elegante, disinvolta, si è avanzata verso di me, sorridendo affabilmente e porgendomi la mano. Confesso che io lì per lì non ho riconosciuto in lei Adelina Patti, sulla cui bellezza imperitura e sulla cui continua gioventù fiorisce quasi la leggenda che accompagna i semidei, e che io non potevo immaginarmi se non incedente maestosa e superba.

Vestiva un abito da uscita ed aveva il cappellino, quasi per dirmi in modo cortese: siate breve.

… Dopo le cerimonie di rito mi ha fatto sedere in una poltroncina, e mentre mi perdevo nell’ammirazione della sua splendida toilette in seta grigio ferro, e più ancora dei suoi brillanti che la tempestavano per tutto – sulle dita, al collo, sul petto, alle orecchie – mi ha scosso con la domanda». 

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